Rifiuto alle trasfusioni di sangue. I Testimoni di Geova

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Premessa

In campo sanitario il consenso completo ed informato è necessariamente collegato al diritto all’autodeterminazione terapeutica che consente al paziente, da un lato di scegliere tra differenti trattamenti sanitari e, dall’altro, di rifiutare un determinato trattamento o terapia.

Addirittura sappiamo che, anche quando il paziente rifiuti un trattamento sanitario necessario alla sua sopravvivenza, il medico avrà il dovere di indicare sia le alternative possibile che le verosimili conseguenze derivanti dal rifiuto di sottoporsi al trattamento ma, in ogni caso, “è tenuto a rispettare la volontà espressa del paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo; in questo caso l’esercente la professione sanitaria sarà esente da qualsiasi responsabilità civile o penale.

Ciò si basa sul principio cardine – che tale è divenuto grazie a rilevanti pronunce quali quella sul caso Englaro o sul caso Welby e con l’introduzione della L.219/2017 – secondo cui il medico mai potrà sostituirsi al proprio paziente, soggetto a cui deve necessariamente essere garantito il diritto ad autodeterminarsi e, così, anche a decidere se sottoporsi o meno ad un intervento, una terapia, un trattamento.

L’emotrasfusione

L’emotrasfusione è prevista tra i trattamenti sanitari obbligatori ma – ancor prima dell’introduzione della disciplina del consenso informato – era oggetto di tale pratica perché veniva considerata una terapia “non esente da rischi e necessita pertanto del consenso informato del ricevente”.

Ne consegue che, il rifiuto alla trasfusione, è vincolante per il medico quando tale manifestazione costituisca una decisione informata (quindi quando il medico abbia rappresentato al paziente tutti i benefici, rischi e terapie alternative).

La Cassazione in tema di emotrasfusione

Con sentenza n. 29469 del 2020 la Suprema Corte ha individuato nel rifiuto di emotrasfusione da parte del paziente Testimone di Geova, una fattispecie specifica che deve essere tenuta distinta dal generico consenso informato.

Ciò in quanto il rifiuto al trattamento non muove da questioni o convincimenti medici (es. rifiuto la trasfusione di sangue perché ho paura di infettarmi), ma religiosi.

Il caso riguardava trasfusioni di sangue in condizioni emergenziali, ritenute assolutamente indispensabili dai sanitari; talmente critiche da non poter considerare rilevante il dissenso all’emotrasfusione reso dal paziente Testimone di Geova al momento dell’ingresso nella struttura ospedaliera in quanto tale dissenso veniva manifestato in un momento in cui non vi era un pericolo di vita.

Insomma, ci troviamo davanti alla necessità di tutela di due differenti principi costituzionali: quello dell’autoderminazione sanitaria e quello della libertà religiosa.

La Corte conclude stabilendo che il Testimone di Geova ha pieno diritto a rifiutare l’emotrasfusione anche tramite una dichiarazione resa prima del trattamento sanitario sulla base del rapporto esistente tra medico e paziente, “uno specifico rapporto giuridico contrassegnato dall’obbligazione negativa del sanitario di non ledere la sfera giuridica vantata dal Testimone di Geova, cui spetta la titolarità attiva del rapporto”.

Il rifiuto al trattamento, aderendo a quanto espresso dal ricorrente,  viene così definito: “quella dei Testimoni di Geova non costituisce una mera autodeterminazione sanitaria, ma una vera e propria forma di obiezione di coscienza …perché… se un Testimone di Geova accettasse volontariamente una trasfusione di sangue equivarrebbe ad un atto di abiura della propria fede… in questo senso… non si tratta di rispettare solo il corpo della personama di rispettare la persona umana nella sua interezza, ossia nei suoi valori morali, etici e religiosi”.

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