Responsabilità medica nel periodo di pandemia

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La Legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (cd Legge Gelli-Bianco) ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 590sexies rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” che prevede che “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.”.

La principale novità, prevista appunto dal comma 2 della norma in esame, è rappresentata da una causa di esclusione della punibilità del sanitarioqualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia” e il predetto abbia “rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

L’intenzione della nuova previsione normativa è quella di favorire la posizione del medico, limitando le ipotesi di responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile.

La norma prevede quindi una causa di esclusione della punibilità per l’esercente la professione sanitaria la cui condotta colposa abbia determinato lesioni personali qualora:

L’evento si sia verificato a causa di imperizia, rimanendo escluse le ipotesi di negligenza e imprudenza e a prescindere dal grado di colpa, che sia questa lieve o grave;

Siano state rispettate le raccomandazioni contenute nelle linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico assistenziali (cd. ars medica);

Le linee guida o le buone pratiche risultino adeguate al caso di specie in ragione delle caratteristiche specifiche che il medesimo presenta.

La pandemia

Come è noto, l’ultimo anno è stato caratterizzato da una situazione di emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del nuovo coronavirus che ha colpito non solo il nostro Paese, ma tutto il mondo.

Situazione emergenziale che, più di tutti, ha colpito strutture e personale sanitario, sovraccaricando – in alcuni casi fino al collasso – il nostro sistema sanitario.

È chiaro ed evidente che una situazione emergenziale e, soprattutto, nuova come quella in cui ci troviamo, debba comportare una necessaria maggior tutela per quei soggetti che, nonostante la novità e il continuo mutamento del virus, hanno garantito le cure ai cittadini; quei soggetti che erano eroi durante la prima ondata di contagi e che poi si vedevano recapitare lettere di diffida e citazioni in giudizio.

La tutela delle strutture e del personale sanitario trova la sua origine nell’art.2236 c.c. “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.

Questa limitazione di responsabilità in capo al prestatore d’opera è stata limitata dagli Ermellini ai soli casi di perizia, con esclusione – invece – dell’imprudenza e della negligenza.

Nell’ambito medico la citata “speciale difficoltà” si riferisce a quei casi eccezionali e/o straordinari perché non oggetto di adeguati studi scientifici o sperimentali o, ancora, in relazione ai casi in cui non siano ancora state sviluppate delle precise linee guida sui sistemi diagnostici o terapeutici corretti da mettere in pratica.

È chiaro che la situazione emergenziale dettata dal Covid19 rientri pacificamente nella previsione di cui all’art.2236 c.c.

Il medico chiamato a rispondere del decesso o del danno del paziente può invocare l’art.2236 c.c. e, in determinati casi, non potrà ritenersi responsabile; soprattutto nei casi in cui medici non specializzati in materie affini alle malattie infettive, si ritrovavano a dover curare (sia a livello di diagnostica che di terapia) pazienti infetti, a causa della carenza di organico sufficiente ad affrontare l’emergenza.

Proprio sotto il profilo terapeutico è noto che il medico, in linea generale, ha il dovere di prescrivere un qualsiasi medicinale attenendosi “alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità” (cfr. art.3 L.94/1998).

La questione relativa all’utilizzo di un farmaco off label o di farmaci in fase di sperimentazione è ancora aperta: secondo alcuni tale utilizzo andrebbe a configurare un’ipotesi di responsabilità per esercizio di attività pericolose ex art.2050 c.c. (quindi con una sorta di presunzione di colpevolezza del sanitario), secondo altri tale configurazione sarebbe invece incompatibile con l’attività medica.

Spesso nel corso della pandemia si è avuto modo di riscontrare un cambio repentino (e spesso di segno opposto) delle indicazioni terapeutiche: l’assenza di reali linee guida per il trattamento dell’infezione da coronavirus, tuttavia, correlata dal richiamato accreditamento della comunità scientifica nell’utilizzo di quel medicinale anche al di fuori delle previsioni d’etichetta e dalla sorveglianza del paziente non permetterebbero di ravvisare caratteri di responsabilità nel sanitario.

Avv. Giulia Invernizzi

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