Responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001: le sanzioni 

sanzioni pecuniarie

Il Decreto Legislativo 231/2001 distingue le sanzioni che possono essere applicate all’Ente, all’esito di un procedimento penale, in due categorie: le sanzioni pecuniarie e le sanzioni interdittive. 
Le prime sono, al ricorrere delle violazioni, sempre disposte, mentre le sanzioni interdittive si applicano allorquando i fatti siano di una certa gravità.

Le sanzioni pecuniarie

L’art. 10 Decreto Legislativo 231/2001 prevede che la sanzione pecuniaria:

  •  non può essere inferiore a 100 quote (l’importo della quota non può essere inferiore ad Euro 258,00, né superiore ad Euro 1.549,00), per un minimo di circa 25.800,00 Euro
  •  non può essere superiore a 1000 quote, per un massimo di 1.549.000,00   Euro

In base a quanto disposto dall’art 11 comma 2 D. Lgs. 231/2001, il Giudice penale, nella determinazione dell’ammontare della sanzione, dovrà tenere conto “delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente”.

L’organo giurisdizionale, quindi, effettua una duplice operazione: in primo luogo determina il numero delle quote da applicare in considerazione della gravità dell’illecito commesso; in secondo luogo, provvede a determinare il valore della singola quota – che varia, si ribadisce, da Euro 258,00 ad Euro 1.549,00 – in proporzione alle condizioni economiche dell’ente.
Il descritto procedimento di determinazione della sanzione pecuniaria ha lo scopo di adeguare la pena alla particolare struttura della persona giuridica che subisce il procedimento.

La determinazione del numero delle quote avviene tenendo conto di tre fattori:

  1. La gravità del fatto
  2. Il grado di responsabilità dell’ente
  3. L’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

E’ evidente l’analogia con lo strumento dell’adozione tardiva dei modelli organizzativi che, quindi, oltre ad impedire l’applicazione delle misure interdittive può determinare anche un ridimensionamento della risposta sanzionatoria. 
Inoltre, ancora più specificamente, l’art. 12, comma 2 prevede una riduzione da un terzo alla metà se, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, l’ente ha risarcito il danno – in analogia alla circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. – o ha adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Le sanzioni interdittive

La seconda – e più grave – categoria di sanzioni previste dal Decreto è in grado di paralizzare lo svolgimento dell’attività dell’ente.


Il giudice determina il tipo e la durata della sanzione interdittiva attraverso l’ausilio degli stessi criteri utilizzati per le sanzioni pecuniarie: gravità del fatto; grado di responsabilità dell’ente; attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

L’applicazione di una sanzione interdittiva è sottoposta – ai sensi dell’art. 13 – al principio di legalità, prevedendosi che può essere disposta solamente in relazione a reati per i quali il Legislatore ha espressamente previsto tale risposta sanzionatoria.

In particolare, l’interdizione può applicarsi quando:

  •  L’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale, ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato deriva da carenze organizzative, e cioè non vi sia stata l’adozione di un valido modello organizzativo;
  •  Vi sia stata una reiterazione dei reati.

Il Legislatore ha previsto che la durata delle misure interdittive possa variare da un minimo di tre mesi ad un massimo di due anni.

Le sanzioni interdittive che il Decreto ha previsto sono:

  1. a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. e) Il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

La scelta della misura da adottare nel caso concreto non è rimessa alla sola discrezionalità del giudice, ma, l’art. 14 del Decreto, prevede dei criteri a cui l’organo giurisdizionale deve attenersi.

Si stabilisce, infatti, che “le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente”.

Si tratta, evidentemente, di una disposizione limitativa per il giudice che non potrà quindi applicare una misura interdittiva in maniera generalizzata, non tenendo conto della specifica attività che ha generato il reato.

Deve segnalarsi che la misura dell’interdizione dall’esercizio dell’attività potrà applicarsi solo quando l’irrogazione delle altre, meno gravi, misure risulti inadeguata.

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