Plusvalenza e cessione del ramo d’impresa

Il conflitto giurisprudenziale e l’intervento della Corte di Cassazione

Premessa: la cessione del ramo d’azienda

Il trasferimento di azienda o di ramo d’azienda avviene quando – a seguito di operazioni di cessione, fusione, scissione ecc – un nuovo soggetto va a ricoprire la posizione di titolare, prima appartenuta ad altro soggetto, e, pertanto, i rapporti preesistenti continuano con il nuovo titolare.

Il trasferimento che ha per oggetto solo una parte del complesso aziendale, si identifica come cessione del ramo d’azienda.

Il ramo di azienda consiste in un’entità economica organizzata in maniera stabile tale per cui, anche a seguito di trasferimento, conservi la sua identità e consenta il perseguimento di uno specifico obiettivo.

Il trasferimento del ramo d’azienda comporta:

  • La continuazione della medesima attività svolta in precedenza;
  • Il trasferimento dei beni del complesso aziendale e del personale;
  • La cessione dei contratti (ad esclusione dei contratti a carattere meramente personale) e di tutte le posizioni creditore e debitorie facenti capo al complesso aziendale. È prevista tuttavia un’eccezione per i debiti anteriori alla cessione e risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, dai quali il cedente non è liberato se non risulta che i creditori sociali vi abbiano acconsentito: in tal caso il cedente risponde insieme all’acquirente dei debiti ceduti;
    Il divieto di concorrenza per 5 anni dalla cessione a carico del cedente.

La plusvalenza

La plusvalenza è un aumento di valore, calcolato entro un determinato periodo di tempo, di beni immobili e di valori mobiliari (es. le azioni).

Il valore della plusvalenza è dato dalla differenza positiva tra il c.d. “valore riconoscibile” (ossia il valore che il contribuente o l’ufficio tributario competente attribuisce a qualunque bene del patrimonio d’impresa), e valore fiscalmente riconosciuto (ossia il valore risultante dalle scritture contabili e pari al costo non ammortizzato).

Le plusvalenze patrimoniali dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli idonei a produrre ricavi, concorrono a formare il reddito d’impresa nei seguenti casi:

  • Se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
  • se sono realizzate mediante risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;
  • se sono iscritte in bilancio;
  • se i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

Come detto, e anche sulla base di quanto disposto dall’art. 86, co. 2, TUIR, concorreranno alla formazione del reddito d’impresa anche le plusvalenze derivanti dalla cessione, a titolo oneroso, del ramo aziendale.

Sempre il predetto articolo, per quanto riguarda le modalità di tassazione della plusvalenza, prevede, al pari della cessione dei beni strumentali, che la plusvalenza possa essere tassata in un’unica soluzione nell’esercizio di realizzo o rateizzata fino a cinque rate annuali di pari importo se l’azienda è detenuta dal almeno tre anni.

In alternativa al regime di tassazione ordinario, l’articolo 58, co. 1 TUIR prevede, in relazione all’imprenditore individuale, la possibilità di assoggettamento della plusvalenza a tassazione separata.

Il dibattito giurisprudenziale

La giurisprudenza ha avuto modo di dibattere circa l’accertamento del plusvalore derivante dalla cessione di immobili, aziende o rami delle stesse.

Si creavano sul punto due differenti orientamenti:

  • Il primo orientamento trova fondamento nel principio di imparzialità e capacità contributiva secondo il quale l’Amministrazione risulterebbe vincolata ad una valutazione uniforme del medesimo bene.
    In altre parole: l’Amministrazione sarebbe legittimata a procedere all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale, anche in via induttiva, in base al valore rilevato in sede di applicazione dell’imposta di registro. Detta interpretazione determinava la conseguenza per cui – per superare la presunzione di coincidenza tra la somma incassata e il valore di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro – il contribuente doveva dimostrare, in concreto, di aver alienato/ceduto il bene ad un prezzo inferiore. Tale indirizzo poggia esclusivamente sui principi costituzionali di imparzialità e capacità contributiva, in virtù dei quali l’Amministrazione sarebbe, di fatto, vincolata ad utilizzare una valutazione uniforme del medesimo bene, non potendosi ritenere corretto attribuirne una differente in ragione dei diversi tributi;
  • Il secondo orientamento, opposto rispetto al quello antecedente, muove dall’introduzione di una norma di interpretazione autentica (l’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 147/2015) la quale prescrive che “gli articoli 58, 68, 85 e 86 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986) e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del D.Lgs. n. 446/1997 si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. n. 347/1990”. Le norme di interpretazione autentica, si precisa, sono retroattive. Sulla base di quanto disposto dall’art. 68 TUIR, la presunzione di cui al precedente orientamento non risulterebbe più applicabile; sarebbero invece richiesti ulteriori elementi di prova che superino la mera dimostrazione della divergenza del dichiarato rispetto al valore attribuibile al bene ceduto.

L’intervento della Corte di Cassazione

Si rendeva, pertanto, necessario un intervento chiarificatore così la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13406 depositata il 1° luglio 2020, ha confermato il superamento dell’orientamento presuntivo sancendo l’impossibilità per l’Amministrazione di determinare in via induttiva la plusvalenza realizzata in seguito alla cessione di immobile o di azienda, solo sulla base del valore dichiarato o definito ai fini dell’imposta di registro.

Il valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro non è sufficiente a determinare una effettiva corrispondenza: sono necessari ulteriori elementi volti a dar prova del differente valore della cessione, rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.

Avv. Giulia Invernizzi

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