Il primo comma dell’art. 16 L.3/12 statuisce che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore che:
a) al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima del presente capo aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti;
b) al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e seconda del presente capo, produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile;
c) omette l’indicazione di beni nell’inventario di cui all’articolo 14-ter, comma 3;
d) nel corso della procedura di cui alla sezione prima del presente capo, effettua pagamenti in violazione dell’accordo o del piano del consumatore;
e) dopo il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore, e per tutta la durata della procedura, aggrava la sua posizione debitoria;
f) intenzionalmente non rispetta i contenuti dell’accordo o del piano del consumatore”.
Il fine della norma è quello di far si che le procedure di composizione della crisi avvengano correttamente e, pertanto, nel rispetto della normativa vigente. La normativa indica che il debitore debba eseguire le procedure mantenendo una giusta condotta.
Da quanto sopra esposto e riassunto, si rileva che la normativa si premura di regolamentare il corretto comportamento in pendenza della procedura ma, nulla dice in merito alle pendenze di procedimenti penali in capo al sovraindebitato.
È possibile accedere alla procedura di composizione della crisi se vi è stato un procedimento penale nei confronti del debitore?
Ad esprimersi su questo aspetto, vi è una recente sentenza del Tribunale di Rimini 14/1/2021 – Giudice Delegato dott.ssa Francesca Miconi, che indica la possibilità per il debitore di accedere alla procedura di liquidazione del patrimonio nonostante l’avvenuto patteggiamento della pena in un procedimento penale di bancarotta fraudolente.
Precisamente, il Giudice Delegato afferma che la predetta circostanza – del patteggiamento della pena – non rileva per l’apertura della procedura di liquidazione del Patrimonio ma potrà incidere solo successivamente, in pendenza del procedimento di esdebitazione in cui parteciperanno i creditori. Spetterà, quindi, al Liquidatore indagare, anche al fine di verificare se vi siano stati o meno atti revocabili negli ultimi cinque anni in frode ai creditori.
Difatti, l’art.14 terdecies riguardante l’esdebitazione, statuisce che l’esdebitazione è esclusa:
a) “quando il sovraindebitamento del debitore è imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali”;
b) “quando il debitore, nei cinque anni precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri”.
Inoltre, il medesimo articolo, al comma 5 statuisce che non può beneficiare dell’esdebitazione colui che “è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero simulate attività inesistenti”.
Pertanto, si ritiene di poter affermare che la pendenza di un procedimento penale non incide a priori nella possibilità del debitore di accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento e neanche nella sua successiva esdebitazione.