L’esercizio provvisorio nel fallimento

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L’istituto dell’esercizio provvisorio era disciplinato dalla legge del 1942, precisamente nel capitolo relativo alla custodia e all’amministrazione delle attività fallimentari. Si trattava di un istituto che aveva l’obbiettivo di liquidare per poter distribuire il ricavato ai creditori, anche se questo fine veniva meno privilegiando l’affitto d’azienda. 

Con la riforma del 2006, la legge Fallimentare prevede all’art. 104 un determinato istituto per i casi nei quali sia opportuno che il Tribunale autorizzi la prosecuzione dell’attività anche dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. 

Così facendo, il fine principale dell’esercizio provvisorio nelle procedure fallimentare è quello di valorizzare l’impresa in stato di insolvenza, in modo da promuovere il trasferimento dell’azienda ad un altro imprenditore attraverso l’affitto o la cessione. 

L’esercizio provvisorio può essere disposto dal giudice delegato in uno dei seguenti 3 casi:

  1. dopo la sentenza dichiarativa di fallimento;
  2. nella fase che precede il deposito del piano liquidatorio dell’attivo;
  3. successivamente al deposito del piano liquidatorio, ma con l’autorizzazione del comitato dei creditori.

Nel primo caso, è compito del giudice delegato a deliberare il parere del comitato dei creditori, mentre nel secondo, il parere del curatore dovrà essere prima autorizzato dal comitato e successivamente deliberato dal giudice delegato.

Il curatore fallimentare deve far risaltare tutti gli elementi contabili, economici e giuridici per supportare la continuità, predisponendo un piano finanziario di cassa e illustrando le modalità con cui sarà gestita l’impresa con l’obiettivo di documentare le prospettive future di vendita dell’azienda. L’intera documentazione dovrà essere poi consegnata al Tribunale che procederà con la valutazione di convenienza attraverso un apposito decreto motivato. 

Il decreto deve elencare le ragioni per cui è opportuno adottare l’esercizio provvisorio, dettagliando i compiti, i limiti e le modalità con cui il curatore dovrà svolgere il proprio incarico. Precisamente, deve fornire indicazioni sulle modalià di incasso dei crediti, di pagamento dei debiti relativi agli approvvigionamenti oltre che all’obbligo di rendicontazione della cassa. L’esercizio provvisorio deve essere sempre monitorato dagli organi della procedura.

Infatti, la norma ha previsto che durante l’esercizio provvisorio, il comitato dei creditori deve essere convocato dal curatore almeno ogni 3 mesi. In particolare, qualora il comitato non avesse l’opportunità di continuare l’attività, può chiedere al giudice delegato di interrompere l’esercizio provvisorio. In aggiunta, al termine di ogni semestre, ed in ogni caso alla conclusione dell’esercizio provvisorio, il curatore deve redigere e presentare un rendiconto dell’attività agli organi della procedura. Nel rendiconto deve far emergere i risultati economici e finanziari conseguiti nel periodo tra l’inizio e la fine dell’esercizio provvisorio.

In caso di società più complesse sarebbe opportuno predisporre ogni semestre un bilancio costituito da stato patrimoniale, conto economico e relazione del curatore in modo da fornire al comitato dei creditori tutte quelle informazioni necessarie per poter rinnovare il giudizio di positività sulla continuità aziendale.

Per ultimo, l’esercizio provvisorio può essere disposto dal Tribunale anche in sede di delibera di fallimento, qualora la cessazione dell’attività possa comportare un grave danno e sempre che tale prosecuzione dell’attività non determini un pregiudizio per i creditori. Sono due principi che devono coesistere per l’interesse generale e sociale dei creditori ma anche della continuità dell’attività d’impresa.

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