La responsabilità medica

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La questione del consenso informato

Cause di esclusione dell’antigiuridicità

In via preliminare appare necessario ricordare l’enunciato di cui all’art. 50 c.p. secondo il quale “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”, che – in combinato disposto con l’art. 32 Cost. secondo cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” – pone le basi del principio di diritto per cui ogni intervento medico in assenza di consenso è illecito.

Nell’ambito sanitario detto consenso si trasforma in “consenso informato” volto a garantire un’informazione deontologicamente, eticamente e giuridicamente corretta dell’atto medico proposto, affinchè alla persona assistita sia assicurata la facoltà di esprimere liberamente e consapevolmente la propria scelta in merito alle opzioni diagnostiche terapeutiche proposte.

Il consenso informato

Il consenso informato rappresenta un obbligo informativo a carico della struttura sanitaria e del medico e configura il diritto del paziente di essere informato riguardo le proprie condizioni di salute e, conseguentemente, di poter scegliere liberamente e volontariamente se sottoporsi o meno ad un trattamento sanitario, conscio di tutte le conseguenze ed i rischi del caso e delle eventuali terapie alternative.

Come precisato dagli Ermellini nella sent. 438/08 “la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria, costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione proprio della persona fisica”, diverso e distinto dal diritto alla salute inteso quale diritto del soggetto alla propria integrità psico-fisica.

In generale le informazioni fornite devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente a quanto previsto dall’art. 32 Cost., comma 2.

Ne consegue l’obbligo del medico “di fornire informazioni dettagliate, in quanto adempimento strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.

Come espresso dalla Suprema Corte, sentenza n. 45126/2008 “al medico va riconosciuta la facoltà o la podestà di curare (e queste sono) situazioni soggettive derivanti dall’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi…” e ancora “… il consenso informato ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale… la mancanza del consenso del paziente o l’invalidità del consenso determinato dall’arbitrarietà del trattamento medico chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo”.

Il consenso rappresenta espressione dei principi costituzionali di cui all’art. 2 (dignità della persona), art. 13 (libertà personale) e art. 32 (diritto alla salute).

Il consenso dovrà essere personale, esplicito, specifico, libero attuale, informato e consapevole e conforme allo stato dell’arte, ovverosia al livello cui sono giunte le conoscenze in quel determinato ambito scientifico.

Il consenso deve essere espresso dal soggetto che ha la disponibilità del bene giuridico e “ante factum” ovverosia deve sussistere nel momento in cui viene posto in essere il trattamento medico, se prestato dopo che l’intervento sia stato compiuto non potrà essere qualificato come causa di giustificazione.

In linea generale l’assenza o l’invalidità del consenso rileva in due situazioni differenti: in operazioni con esito fausto o infausto.

La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi sul punto: un primo orientamento, minoritario, riteneva che, il medico che effettui un’operazione chirurgica non consentita dal paziente cagiona, in ogni caso (quindi anche in caso di esito favorevole), una malattia consistente nell’atto chirurgico in sé considerato.

Secondo l’orientamento maggioritario, invece, l’intervento medico, anche se non coperto dal consenso del paziente, non può, di per sé integrare gli estremi della malattia, nella misura in cui provochi un miglioramento dello stato di salute complessivo del paziente, rimanendo quindi estraneo allo schema di cui all’art. 582 c.p.c. che punisce le condotte recanti danno all’integrità fisica del soggetto.

I giudici, pertanto, sembravano propendere per una definizione funzionale di malattia che ha, quale oggetto di protezione, non tanto la mera integrità fisica dell’individuo, quanto più la sua salute complessivamente considerata.

La Corte di Cassazione, con sentenza n.28985/2019 ha precisato che la violazione da parte del medico del dovere di informazione, può causare due diversi tipi di danni:

  1.  un danno alla salute, “quando sia ragionevole ritenere che il paziente – sul quale grava il relativo onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti)”;
  2. un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione ogni volta che “a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute”.

Il paziente, al fine di ottenere il risarcimento dei pregiudizi subiti, dovrà dimostrare la relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – determinato dalla violazione dell’obbligo informativo preventivo – e le specifiche conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso eziologico inteso come causalità giuridica.

Avv. Giulia Invernizzi

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