La responsabilità medica – Inquadramento normativo

La riforma Balduzzi e le “linee guida”

Come anticipato nel precedente articolo, lo sviluppo di un contesto sociale di disagio e l’incontrollabile aumento del contenzioso e, di conseguenza, dei premi assicurativi, ha portato il legislatore a sentire la necessità di normare la materia attraverso una decisa riforma, il noto “Decreto Balduzzi” (Decreto-legge n. 158 poi convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189, nota come legge Balduzzi, dal nome dell’allora Ministro della Salute).

A partire dal 2012, con il Decreto Balduzzi, si è tentato di smuovere una situazione oramai ingestibile, cercando di limitare numericamente le richieste di risarcimento legate alle attività sanitarie. La riforma Balduzzi, infatti, ha inciso fortemente sulla responsabilità penale dell’operatore sanitario introducendo la scriminante in caso di morte o di lesioni per i danni provocati al paziente con “colpa lieve”.

Nel tentativo di ridurre il contenzioso in ambito sanitario, la legge – al suo art. 3 – sancisce l’esclusione della responsabilità penale per colpa lieve in capo al professionista sanitario che, nello svolgimento delle sue funzioni, si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Il forte carattere innovativo è rappresentato dall’introduzione di una graduazione della colpa.

La principale problematica era caratterizzata dalla generica definizione delle “linee guida”: al tempo dell’entrata in vigore della legge non esistevano ancora delle linee guida ufficiali e nemmeno delle specifiche procedure di applicazione delle stesse.

Altra importante problematica che emergeva da una prima lettura della legge in commento è rappresentata dall’individuazione della differenza tra colpa lieve e colpa grave.

In relazione a questo particolare aspetto relativo all’individuazione in concreto del grado della colpa, la giurisprudenza si è mostrata confusa, con pronunce spesso non in linea tra loro .

Sotto un profilo processuale, tuttavia, l’onere probatorio in capo al medico non era di facile assolvimento in quanto era necessaria la prova del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica relative a quel preciso momento storico.

Sul piano civile la riforma Balduzzi non introduceva nessun chiarimento circa l’esatta qualificazione da attribuire alla responsabilità medica: se questa dovesse considerarsi come contrattuale o extracontrattuale.

Bisognerà attendere la successiva riforma Gelli che, risolvendo il quesito, qualificava espressamente la responsabilità del personale sanitario come responsabilità extracontrattuale differenziandola da quella in capo alla struttura che, invece, veniva qualificata come contrattuale.

Seguiva quindi un netto aumento dei costi dell’assistenza sanitaria, incrementi dei premi delle assicurazioni ed anche una contrazione delle attività sanitarie più a rischio.

Appariva quindi necessario, e certamente molto atteso, l’intervento normativo del 28 febbraio 2017, Il Disegno di Legge n. 2224, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, relatore l’Onorevole Dott. Federico Gelli, alla Camera dei Deputati, diventato poi legge.

La Legge Gelli-Bianco

La Legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (cd Legge Gelli-Bianco), nel tentativo di perseguire i medesimi obiettivi della legge Balduzzi, si muove lungo tre principali direttive: penale, civile e amministrative.

Essa ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 590sexies rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, che abroga definitivamente l’art. 3, comma 1, della legge 189/2012, avente ad oggetto la nuova disciplina della responsabilità penale colposa per morte o lesioni in ambito medico.

Detto articolo prevede, infatti, che “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.”.

La principale novità, prevista appunto dal comma 2 della norma in esame, è rappresentata da una causa di esclusione della punibilità del sanitario “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia” e il predetto abbia “rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

La norma prevede, quindi, una causa di esclusione della punibilità per l’esercente la professione sanitaria che sia incorso nella commissione dei delitti di omicidio colposo ovvero lesioni personali colpose a particolari condizioni.

L’intenzione della nuova previsione normativa è quella di favorire la posizione del medico, limitando le ipotesi di responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile.

Rispetto a quanto previsto dal Decreto Balduzzi, pertanto, viene all’evidenza come – per l’applicazione della causa di esclusione della punibilità – sia venuta meno la differenziazione tra colpa lieve e colpa grave quale elemento soggettivo alla base dell’imperizia del personale sanitario: insomma, viene meno la punibilità del medico quando, nel caso di lesioni provocate da imperizia (quindi lesioni colpose o omicidio colposo), lo stesso si sia attenuto alle linee guida.

La norma prevede quindi una causa di esclusione della punibilità per l’esercente la professione sanitaria la cui condotta colposa abbia determinato lesioni personali qualora:

– L’evento si sia verificato a causa di imperizia, rimanendo escluse le ipotesi di negligenza e imprudenza e a prescindere dal grado di colpa, che sia questa lieve o grave;

– Siano state rispettate le raccomandazioni contenute nelle linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico assistenziali (cd. ars medica);

– Le linee guida o le buone pratiche risultino adeguate al caso di specie in ragione delle caratteristiche specifiche che il medesimo presenta.

Proprio in relazione alle linee guida, l’art. 5 della legge in commento ha stabilito che esse siano elaborate da enti ed istituzioni pubbliche e private, da società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in un apposito elenco.

Detto elenco deve necessariamente essere istituito e regolamentato con decreto del Ministro della Salute mentre le linee guida e i relativi aggiornamenti dovranno essere integrati nel Sistema Nazionale per le Linee Guida, anch’esso disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della Salute e, dopo adeguata verifica della conformità dei metodi adottati e della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni, verranno pubblicate sul sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità.

La riforma Gelli, quindi, ha introdotto significative modifiche in tema di responsabilità medica sia sotto il profilo penale escludendo la responsabilità penale del medico per imperizia laddove dimostri di essersi attenuto alle linee guida validate e pubblicate dall’Istituto Superiore della Sanità, sia sotto il profilo civile qualificando, dopo anni di incertezza, la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria quale responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

La legge 24/2017 ha riproposto le linee guida come criterio di valutazione della responsabilità, ma in maniera strutturata.

L’art. 3 ha previsto l’istituzione, presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) dell’Osservatorio nazionale, delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità. L’Osservatorio acquisisce dai Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente i dati regionali relativi ai rischi ed eventi avversi nonché alle cause, all’entità, alla frequenza e all’onere finanziario del contenzioso e, mediante la predisposizione, con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, di linee di indirizzo, individua idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie.

Gli esercenti le professioni sanitarie nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, devono quindi attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate.

Veniva previsto che “Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse elaborati … sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (Snlg), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della salute … L’Istituto superiore di sanità pubblica nel proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicati dal Snlg, previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni” .

Inoltre “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Le linee guida, pur continuando a rappresentare raccomandazioni suscettibili di continuo aggiornamento e, in quanto tali, espressione di opinioni non cristallizzate, incidono – per esplicita previsione normativa – sulla valutazione della condotta del professionista ai fini penali e sulla misura del risarcimento del danno.

In linea generale, deve riconoscersi il dovere degli esercenti di discostarsi dalle linee guida ove le specificità del caso concreto lo impongano e non va dimenticato che esiste il dovere per i professionisti di seguire le buone pratiche clinico-assistenziali in mancanza di linee guida corrispondenti o adeguate al caso concreto.

A tale riguardo è quindi rilevante il ruolo che a questo fine può essere svolto dai consulenti tecnici: l’esperimento dell’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis cpc, tentativo obbligatorio (in alternativa al procedimento di mediazione) per l’instaurazione di un giudizio in ambito sanitario, diviene determinante per la selezione delle linee e delle best practices che ben si applichino al caso e così l’acquisizione in giudizio della relazione peritale ove fallisca il tentativo di conciliazione.

Avv. Giulia Invernizzi

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