La necessita della riforma della giustizia tributaria

LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA: CHE COS’E’ E PERCHE’ NECESSITA UNA RIFORMA

LE PROPOSTE PER UNA NUOVA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Le basi del diritto tributario si possono trovare nell’art. 53 della costituzione, affermando che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. 

A questo scopo, l’Amministrazione finanziaria ha il dovere di ripartire in modo progressivo, in base al reddito, il fabbisogno statale, in forma di tributi. Nei vari calcoli ci possono essere degli errori e delle imprecisioni, e il contribuente ha il diritto di contestare ciò che non ritiene fondato.

Infatti, con il decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre 1992, il diritto tributario ha assunto una giurisdizione autonoma, con specifici gradi di giudizio e un proprio organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.

Un contribuente può fare ricorso in primo grado di giudizio, cioè presso la Commissione tributaria regionale di competenza in merito a tributi di vario genere, di competenza, regionale, provinciale, comunale, compreso il contributo per il SSN (servizio sanitario nazionale) ed eventuali sanzioni, anche accessorie e i relativi interessi.

I DIFETTI DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Considerando l’art. 111 della costituzione, che stabilisce, al comma 1 che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” ed al comma 2 che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. 

Queste disposizioni valgono per ogni tipo di processo, anche per il processo tributario, ma quest’ultimo nasce, in origine, come contenzioso amministrativo.

Solo a seguito del riconoscimento della giurisdizionalità delle Commissioni Tributarie fu dunque possibile recepire alcuni dei principi cardine di ogni tipo di processo, che, invece, erano fino ad allora esclusi dal processo tributario, quali, a mero titolo di esempio, la ripartizione dell’onere della prova tra le parti in giudizio e l’applicazione del principio del contraddittorio.

Tali concetti hanno finalmente trasformato il processo tributario in un processo vero e proprio, concorrendo anche ad affermare una specifica cultura del diritto processuale tributario.

Con la riforma del 1992, gli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dissipando ogni residuo dubbio in ordine alla natura giurisdizionale dei componenti delle Commissioni Tributarie, parlano di vera e propria “giurisdizione tributaria”, anche se risulta ancora prematuro parlare di un giusto processo tributario.

Con Ordinanza del 23 settembre 2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale sui Dlgs. 545/92 e 546/92, dubitando, in sostanza, che l’ordinamento e l’organizzazione della giustizia tributaria fossero compatibili con la garanzia di indipendenza del giudice, richiesta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Secondo la Corte Costituzionale, le questioni sollevate erano inammissibili, visto che il rimettente invocava plurimi interventi additivi, diretti a delineare un nuovo assetto della giustizia tributaria, con conseguente indeterminatezza ed ambiguità delle medesime richieste.

Oltre alla dichiarazione di inammissibilità, la sentenza appariva come una sentenza “di avviso” per il legislatore ad intervenire sul sistema giustizia tributaria.

Uno dei principali difetti è che la giurisdizione tributaria non è esercitata da magistrati di ruolo, nominati attraverso concorsi pubblici per esami.

Infatti, un processo è veramente tale solo se i suoi protagonisti, sia il giudice che le parti, sono dei “professionisti” della materia, ad essa dedicati a tempo pieno.

La legge 11 marzo 2014, n. 23, aveva in tal senso già conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita, ma è rimasta in parte irrealizzata, laddove il Dlgs. 156/2015 ne ha dato solo parzialmente attuazione e per aspetti in gran parte di rilievo non sistematico.

Sono dunque tanti i problemi che affliggono la giustizia tributaria e insieme a tutti i procedimenti in giudizio, tali problemi valgono miliardi di euro.

LE PROPOSTE PER UNA NUOVA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Un primo cambiamento legislativo, in linea anche con gli altri ordinamenti europei, è l’istituzione di un giudice professionale togato, specializzato e a tempo pieno, magari affiancato da un giudice onorario per le liti di valore minore, similmente a quel che accade nella giustizia civile con il giudice di pace.

Successivamente, intervenire in una revisione dell’istituto della mediazione che, come noto, per i giudizi fino a 50.000 Euro vi è, ai sensi dell’art. 17 bis del Dlgs 546/92, una fase di mediazione stragiudiziale obbligatoria.

L’istituto della mediazione tributaria stragiudiziale, introdotto nel 2012 per i soli atti dell’Agenzia delle Entrate ed esteso a partire dal 2016 anche per tutti gli altri enti impositori, ha dato e sta dando buoni risultati, avendo comportato un abbattimento delle cause di circa il 50%. L’istituto deve essere rafforzato, ma reso anche più “trasparente”.

La riforma della giustizia tributaria, considerando i principali progetti di legge, deve partire dalle seguenti proposte:

  1. a) creare una quarta magistratura, separata dalle altre e strutturata in organi come, ad esempio, Tribunali tributari e Corti d’appello tributarie;
  2. b) ridimensionare progressivamente i giudici onorari, fino al ricorso esclusivo a giudici professionisti e a tempo pieno, remunerati in modo adeguato e selezionati in base a un concorso pubblico, per titoli ed esami, analogo a quello dei magistrati ordinari;
  3. c) rafforzare i presidi di indipendenza e terzietà, con il trasferimento dei compiti di organizzazione della giurisdizione tributaria attribuiti al Mef;
  4. d) rafforzare la figura del giudice monocratico;
  5. e) innovare profondamente l’istituto della mediazione.

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