La confisca nei reati tributari

Il sistema penale tributario delineato dal D. Lgs. n. 74/2000 contempla – agli artt 12 bis e 12 ter – tre tipologie di confisca, applicabili alla persona fisica in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento):

  • la confisca diretta quale tipica misura di sicurezza volta a colpire il prezzo, il prodotto o il profitto derivante dalla commissione del reato
  • la confisca per equivalente, avente ad oggetto qualsiasi utilità di cui l’autore di un reato abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, profitto o prodotto del reato, finalizzata a privare l’autore di tutti i possibili vantaggi connessi all’attività delittuosa. 
  • la confisca in casi particolari” o “allargata” prevista dall’art 12 ter D.Lgs 74/2000 che opera un espresso rinvio all’art. 240 bis cp, ove si prevede, nel caso di condanna o patteggiamento – per talune ipotesi delittuose –che sia sempre disposta la confisca del denaro, dei beni, o delle altre utilità di valore sproporzionato al reddito del condannato o all’attività economica da egli esercitata, di cui sia titolare o abbia comunque la disponibilità, ma non possa giustificarne la provenienza..

Ciò premesso, al fine di comprendere le ricadute pratiche della confisca, è importante capire cosa si intende per PROFITTO o PREZZO del reato tributario.

Si considera profitto del reato l’utilità economica conseguita, direttamente o indirettamente, con la commissione del reato. Come recentemente evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione, in tema di reati tributari (dichiarativi e di omesso versamento) il profitto si identifica con l’imposta evasa, maggiorata degli interessi ma non anche delle sanzioni, costituendo queste ultime un costo, e non un profitto, del reato.

In questo contesto, l’istituto di più recente introduzione e di più forte impatto sul patrimonio dell’evasore fiscale è rappresentato dalla confisca allargata, applicabile in caso di condanna per taluni dei reati tributari menzionati dall’art 12 ter D. Lgs. 74/2000, come ad esempio l’utilizzo o l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, allorquando le condotte superino una determinata soglia di gravità.

Ebbene, in tal caso il Pubblico Ministero non dovrà dimostrare il nesso di derivazione tra i beni oggetto di confisca e il reato, come invece accade nel caso della confisca ordinaria prevista dall’art 240 cp, bensì la sussistenza della sproporzione tra il valore economico dei beni della persona interessata rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte o all’attività economica esercitata dalla stessa.

Poiché la confisca allargata può anche riguardare beni di cui il soggetto abbia la disponibilità non direttamente ma per interposta persona (fisica o giuridica), il Pubblico Ministero avrà l’onere di
provare l’eventuale divergenza tra intestazione formale di un bene a un soggetto terzo e la sua effettiva disponibilità in capo al condannato attraverso l’esame di circostanze concrete quali, a titolo esemplificativo, la destinazione del bene, il rapporto di parentela tra le parti in causa, o la natura giuridica dell’atto dispositivo.

Una volta che il pubblico ministero ha fornito la prova della sproporzione, la provenienza illecita della ricchezza si presume. Tale presunzione, tuttavia, è relativa, essendo la persona interessata a dover fornire una giustificazione credibile in merito alla legittima provenienza dei beni posseduti al fine di evitarne la confisca.

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