Fallimento ed accertamento crediti erariali

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L’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria non rileva ai fini dell’ammissione al passivo.

La procedura fallimentare è tesa a soddisfare coloro che, alla data della dichiarazione di fallimento, vantano un credito nei confronti del fallito. Per effetto del fallimento, infatti, i creditori possono far valere i propri diritti esclusivamente mediante la procedura di cui alla Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, modificato dal D.Lgs.9 gennaio 2006, n. 5,  in vigore dal 16 luglio 2006).

Come disposto dall’art. 52 L.Fall., infatti, “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo 111, primo comma n.1, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni di legge”.

Per quanto attiene ai crediti erariali, anch’essi vengono definiti concorsuali qualora il presupposto tributario si sia verificato prima della dichiarazione di fallimento del debitore.

Quando è ammesso al passivo il credito tributario?

Il principio generale in materia concorsuale stabilisce che per essere ammissibile al passivo fallimentare, il relativo fatto costitutivo deve essere anteriore al fallimento. Tale principio vale anche (e soprattutto) in materia di crediti tributari.

L’obbligazione tributaria nasce nel momento in cui si verifica il presupposto di fatto che dà luogo alle due rispettive situazioni di debito e di credito, costituenti il rapporto obbligatorio.

Pertanto, l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria è da ritenersi strumentale ed eventuale e che a nulla rileva ai fini dell’ammissione al passivo.

Da quanto appena esposto, ne deriva che i crediti erariali, per essere ammessi al passivo, devono essere tributi relativi ai periodi di imposta precedenti alla sentenza dichiarativa di fallimento, anche se accertati successivamente. Di tal senso è anche la giurisprudenza attuale la quale ha più volte precisato che poiché la legge tributaria fa discendere il sorgere delle obbligazioni formali e sostanziali poste a carico del soggetto passivo al verificarsi di un dato presupposto, ne deriva la natura meramente dichiarativa dell’atto di accertamento emesso dagli Uffici impositori.

In sostanza, con l’atto di accertamento l’Amministrazione finanziaria si limita ad verificare l’esistenza dei presupposti di imposta già formatisi.

Quali sono i presupposti per l’ammissione al passivo dei crediti erariali?

Un piccolo cenno in merito alle modalità di presentazione dell’istanza di ammissione al passivo dei crediti erariali.

Ai sensi dell’art. 33 D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 e dell’art. 87 D.P.R. 602/1973, spetta al concessionario provvedere all’insinuazione del credito.

Il ruolo, per essere titolo idoneo a provare il credito erariale, deve essere esecutivo ed efficace:

  • L’esecutività: viene acquisita, con l’apposizione della firma del titolare dell’Agenzia delle Entrate competente (l’art. 12 D.P.R. 602 /1973);
  • l’efficacia: si ottiene dalla notificazione della cartella di pagamento – presupposto indefettibile – a cura del concessionario, contenente l’intimazione ad adempiere al pagamento e che in mancanza procederà ad esecuzione forzata (art. 26 D.P.R. 602/1973).

La mancata impugnazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, da parte dell’imprenditore prima del fallimento, o del curatore, se a questi notificati, preclude agli organi della procedura la possibilità di negare l’ammissione al passivo dei tributi pretesi. Difatti, al giudice delegato al fallimento non è attribuito alcun potere di controllo di merito sul titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, essendo questo riservato agli organi di giurisdizione tributaria.

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