Concordato in continuità

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Il concordato preventivo in generale, a maggior ragione in quello in continuità, è una procedura concorsuale detta “delle parti”, un accordo privatistico fra debitore e creditori che, a differenza di altre procedure, prevede il voto.

Un vero e proprio contratto che, quale particolarità prima di essere concluso, necessita il vaglio di legittimità da parte del Tribunale e che venga nominato un Commissario che verifichi i dati, i documenti e il piano a tutela dei creditori.

Il voto è la modalità di espressione dell’assenso utile a perfezionare il contratto rappresentato dal piano e dalla proposta.

Il debitore indica ai creditori chirografari due principali aspetti:

(i)  la percentuale di soddisfazione del loro credito, anche detta “PROPOSTA”;

(ii) le modalità e gli adempimenti attraverso i quali riterrà di rispettare tale impegno, anche detto “PIANO”.

Si è appena sopra limitato il discorso ai creditori chirografari semplicemente perché la classe dei privilegiati non ha diritto di voto dovendo essere soddisfatta integralmente, a meno di voler rinunciare alla prelazione ed essere degradati al rango chirografario.

Qui nasce un primo equivoco. Se è vero che il creditore legge il PIANO, considera la serietà dello stesso, valuta la strategia del debitore e ne esamina le criticità, quel che il creditore vota è la PROPOSTA tradotta nella percentuale di soddisfazione del proprio credito.

Si tratta di una obbligazione pecuniaria.

In generale nei contratti con ad oggetto obbligazioni di pagamento quel che più interessa al creditore è incassare il dovuto in termini di quantum e tempi, più che il rispetto pedissequo delle modalità di esecuzione del contratto. Con la conseguenza immediata e diretta che anche una variazione della strategia, delle modalità, o dell’esecuzione, insomma del PIANO, non può inficiare il risultato finale che è quello di corrispondere una certa somma entro una certa data.

Si valuti che il PIANO è un qualcosa di indicativo previsto nel presente e volto a regolare il futuro; è frutto del momento storico in cui è contestualizzato e delle situazioni endogene ed esogene ipotizzabili a quella data.

Tutto ciò comporta che in fase di adempimento ben può il debitore dover compiere delle scelte non completamente sovrapponibili a quelle indicate nel PIANO qualche tempo prima (a volte anche qualche anno prima), non più omogenee e anche non completamente coerenti.

Quel che rileva, in fondo, non è il pedissequo rispetto del PIANO e della strategia indicata allora piuttosto la capacità dell’imprenditore di affrontare le contingenze del momento e del settore senza variare la percentuale di soddisfazione.

In questo delicato sistema in cui il creditore (attraverso il voto) si accorda per una percentuale di soddisfazione del proprio credito il commissario di un concordato in continuità ha una funzione pre omologa tipizzata e post omologa eventuale.

FUNZIONE DEL COMMISSARIO NEL CONCORDATO IN CONTINUITA’

Il Commissario ha una duplice funzione principalmente legata all’omologa:

(i)  prima della omologa,

(ii)  post omologa.

Nella fase pre omologa, cioè dall’ammissione del concordato alla sua omologa i compiti del commissario giudiziale (sia esso in forma monocratica che collegiale) sono scanditi dall’art.167 comma 1 L.F. e declinabili genericamente nella “vigilanza sull’amministrazione dei beni e dell’esercizio dell’impresa da parte del debitore (con obblighi ex art.173 L.F.)”.

Volendo essere più precisi al Commissario spetta:

  1. redigere la relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulla proposta di concordato, sulle garanzie offerte ai creditori, sulla fattibilità della proposta e del piano sottostante, ex art.172 comma 1 L.F.;
  2. fornire al Tribunale ogni informazione necessaria ed opportuna circa l’andamento dell’attività di impresa dell’imprenditore da cui possa derivare la revoca dell’ammissione al concordato in continuità (quest’ultimo caso potrebbe essere ipotizzabile allorquando l’attività industriale cessi o, per come svolta, risulti in concreto dannosa in concreto per i creditori), ai sensi dell’art.186 bis ultimo comma L.F.;
  3. dopo l’approvazione del concordato e prima dell’omologa, avvisare i creditori del mutamento delle condizioni di fattibilità del PIANO di modo che, questi ultimi possano costituirsi nel giudizio di omologa e cambiare il proprio voto, cfr. art.179 comma 2 L.F.;
  4. per allargare il perimetro e renderlo aderente alla Legge Fallimentare pro tempore cogente, il Commissario potrebbe avere una funzione anche nel caso di proposte concorrenti (art.163 comma 4 L.F.).

Omologa del concordato in continuità

A seguito di questa intensa attività interviene l’omologa a separare il prima dal poi, laddove l’attività ante omologa coincide con la fase intensa dell’attività del Commissario mentre quella post omologa viene intesa una fase di mera vigilanza.

A conferma di ciò, serva leggere la Legge Fallimentare per comprendere che, in assenza del liquidatore (inteso come ruolo/funzione non prevista nel concordato in continuità) e in presenza di attività eventuale e di mero controllo, la fase successiva all’omologa prevede una presenza “ombra” da parte dei commissari chiamati a intervenire “in caso di rilevanti inadempimenti agli obblighi concordatari” con la conseguenza che “informino i creditori al fine di consentire l’esercizio dell’azione ex art.186 L.F.”.

Chiarito il ruolo e i compiti specifici dei commissari quel che ne emerge è un quadro estremamente scandito, preciso e dettagliato per tutta la fase che porta all’omologa.

Meno definita, invece, è l’attività che incombe (inteso come diritto e come dovere) sulla funzione del Commissario dalla omologa in poi.

I contorni non sono definiti non certo per errore del legislatore (L.F.) né per dimenticanza dei Tribunale, ma solo perché il vuoto è volontario, voluto dal legislatore al fine di cedere il passo alle scelte dell’impresa e del suo organo amministrativo.

Il Commissario giudiziale, normalmente, è più abituato all’interno di attività tipizzate previste dalla norma e, a contrario, meno comodo allorquando si trovi a dover gestire una situazione senza che qualcuno gli indichi cosa debba/possa fare ed entro quando debba farlo.

Il professionista incaricato, poi per frequenza, è normalmente incaricato come Curatore, Commissario/Liquidatore e, di qui, a svolgere un ruolo con interventi massicci, responsabilità precise e condotte tipizzate.

E’ chiaro che, fosse solo per abitudine, è restio a rivestire una funzione di vigilanza sfornita di intervento, di verifica senza poter fornire indicazioni, di monitoraggio senza facoltà di indirizzo, di controllo senza possibilità di riferire al Tribunale.

Nei casi pratici assistiamo a Commissari “smarriti” all’interno del mandato ricevuto dal Tribunale allorquando quest’ultimo prevede “che i Commissari, in caso di rilevanti inadempimenti agli obblighi concordatari informino i creditori al fine di consentire l’esercizio dell’azione ex art.186 L.F.”.

Tale smarrimento risulta da diversi atti posti in essere da questi ultimi, successivamente all’omologa, che possiamo elencare in attività che si presentano abitualmente; procediamo con alcuni esempi senza pretesa di esaustività:

(i)   prolungamento della detenzione dei conti correnti della procedura;

(ii)  (auto) pagamento integrale e immediato dei compensi in prededuzione;

(iii)  preferenza rispetto agli altri creditori prededucibili;

(iv)   atti di indagine reiterati e insistenti in ordine alla attività svolte dalle società in continuità;

(v)    interlocuzione con il Tribunale (esempio tipico: istanze al Giudice delegato volte ad ottenere ordini di informazione).

Piano di business nel concordato

Quanto precede sono solo alcuni atti incompatibili con la fase post omologa. Dall’omologa in poi l’impresa e l’imprenditore rientrano nel pieno e libero esercizio dell’attività di impresa.

L’attività di impresa deve tendere alla logica del profitto e al rispetto degli impegni contrattuali assunti con i propri creditori (PROPOSTA).

Si ribadisce che allorquando un soggetto è creditore di una somma quel che importa è che quell’importo gli venga corrisposto nella quantità e nei termini previsti dall’accordo (PROPOSTA) non già il rispetto pedissequo della strategia indicata (PIANO).

Si permetta un esempio: quando l’imprenditore in bonis si rivolge alla Banca per ottenere un finanziamento lo fa sulla base di un piano di business. Indica la strategia, le tappe e gli eventi che permetteranno all’imprenditore di proliferare e rimborsare il finanziamento. Se la banca crede nell’imprenditore, nell’idea di business, nel settore, nel business plan e, di qui, decide di finanziare l’imprenditore, quel che importa all’istituto di credito è che i rimborsi siano esatti e puntuali, non già il rispetto ottuso del business plan, osservanza che, se non adeguata nel tempo, potrebbe portare addirittura all’incapacità di rimborso del debito.

Certo che in un’ottica di piena trasparenza che permea un rapporto contrattuale ci debba essere piena limpida e costante informazione tra le parti ma ciò non vuol dire che sull’imprenditore incomba un onere di modo; piuttosto di risultato.

Ciò rappresentato, l’INADEMPIMENTO cui si riferisce l’art.186 commi 1 e 2 L.F. (“in caso di rilevanti inadempimenti agli obblighi concordatari”) non riguarda il modo, la strategia o, meglio, il PIANO ma la PROPOSTA intesa come il rispetto dei pagamenti promessi.

Il modo di fare impresa, quindi, è dell’imprenditore ed è tipicamente libero e slegato da oneri di condivisione, approvazione, verifica da parte di chicchessia, commissari compresi.

Ci si ripete: la trasparenza e l’informazione sono alla base di qualsiasi rapporto, soprattutto di fiducia come quello che lega l’impresa in concordato in continuità e il collegio dei Commissari.

Ma i Commissari non possono imporre il proprio concetto di trasparenza, declinandolo in modi e tempi tipici della fase di pre omologa.

E’ normale nelle aziende, anche le più performanti e profittevoli, aggiornare continuamente i piani industriarli, migliorarli, perfezionarli, adeguandoli al territorio, al contesto, al tempo e alle condizioni in cui si trova ad operare.

E’ per tale motivo che i Commissari non possono e non devono verificare la rispondenza dell’attività di impresa al PIANO concordatario, riducendo la propria funzione alla verifica della perfetta sovrapponibilità dell’azione imprenditoriale con quella programmatica ma ricoprire un vero ruolo di allarme e sentinella per il caso in cui l’imprenditore, nella libera autodeterminazione, incorra nel grave inadempimento degli obblighi contenuti nella PROPOSTA.

L’intervento dei commissari, si chiarisce, non può ricondursi ad un giudizio prospettico tipico dell’imprenditore: non è previsto da alcuna norma (L.F.) né da alcun decreto dei Tribunali; non si tratta né di diagnosi né di prognosi ma di mera osservazione dei fatti.

Quando l’imprenditore si renderà inadempiente (e nemmeno leggermente ma gravemente), in quel momento, ad inadempimento conclamato e solo allora, il Commissario (monocratico o collegiale) potrà e dovrà intervenire nei confronti dei creditori per rendere palese e nota tale situazione avvisandoli dei loro diritti e dei relativi poteri di iniziativa.

La norma non prevede il potere di iniziativa diretto dei Commissari nella fase post omologa e il Tribunale non è un interlocutore dei Commissari.

L’unico interlocutore è la massa dei creditori che deve essere attenzionata nel solo momento in cui l’inadempimento alla PROPOSTA (non al PIANO) si traduca in un concreto e reale grave inadempimento (grave ritardo nel pagamento, mancato o parziale pagamento).

CONCLUSIONI

Si dice ciò perché dalla osservazione delle comunicazioni solitamente redatte dai Commissari emerge un canale di particolare attenzione verso l’azienda in continuità, molto intensa e particolareggiata volta ad ottenere informazioni più tipiche di una attività di revisione contabile (il riferimento alla funzione del revisore non è casuale).

Le comunicazioni di sollecito di informazioni cui ci riferiamo portano in sé la deformata idea che il Commissario debba essere messo a parte di ogni informazione dalla quale possa desumerci l’inoculamento del virus dell’inadempimento, anche in via prospettica.

L’attività dei Commissari post omologa non è preventiva né premonitrice: deve ridursi alla osservazione impotente delle iniziative e delle scelte dell’imprenditore. Qualora si venisse a verificare un inadempimento, solo allora, dovrà divenire informatrice della massa dei creditori, non prima. E ai commissari non potrà essere eccepito alcunché perché l’inadempimento sarà ascrivibile esclusivamente senza che possa pretendersi dai Commissari quello che la norma non gli riconosce. Il Creditore ha più poteri (derivanti dai diritti) dei Commissari. Il creditore è baluardo di sé stesso sino all’inadempimento grave e oltre. Solo con l’inadempimento, però, sorge in capo ai Commissari un obbligo di informativa dei creditori sino a quel momento inesistente.

Ci sono altre funzioni, in una attività in continuità, chiamate a vigilare e diverse dai Commissari (sindaci, revisori, consulenti) cui eventualmente rivolgere le proprie lamentele.

Qualora il potere di vigilanza che alcuni vorrebbero in un rigurgito di pubblicismo, di interventismo, di garanzia della funzione pubblica, si trasformasse in un potere di controllo e giudizio, un sindacato vero e proprio si travolgerebbe l’evoluzione della specie in atto del fallimento in crisi di azienda, in un concetto addirittura pericoloso per i Commissari stessi che, esondando dalla propria funzione e dal proprio ruolo, finirebbero per essere imputabili di responsabilità qualora, dopo essere stati informati, volessero interferire nelle scelte industriali, giudicarle o allarmare i creditori con la conseguenza che, un eventuale futuro grave inadempimento della società in concordato in continuità, non sarebbe a loro estraneo ma finirebbe per essergli in qualche modo imputabile tanto per il troppo quanto per il poco intervento.

Questo è il circolo vizioso che rischia di innescare l’attività dei Commissari sino ad ora osservata, dalla quale parrebbe che gli stessi vogliano ergersi a garanti del PIANO piuttosto che, come dovrebbe essere, della PROPOSTA.

Tale deriva non fa bene all’imprenditore né ai Commissari né, in fine, ai creditori che nella loro qualità di soggetti autonomi e senzienti finirebbero per subire un giudizio invece di formarselo in piena libertà.

Quanto sopra è reso conformemente allo stato dell’arte, del pensiero giuridico più moderno e delle specificità del Concordato in Continuità. La direttrice parla di una procedura di stampo privatistico in cui gli organi intesi come pubblicistici (Tribunale, Commissari) intervengono incidentalmente e in funzione di legittimità senza poter in alcun modo partecipare all’interno o nel merito di un contratto tra le parti.

Ogni interpretazione differente è contraria agli orientamenti dei massimi studiosi della materia (alcune volte in contrasto con il giudizio di coloro che incidentalmente o per funzione trattano la materia, non per studio né per scelta) e dell’evoluzione del concetto di “crisi di impresa” che si è trasformato secondo una direttrice chiara, riformatrice, che marginalizza il Tribunale e lascia il campo ai privati riconoscendo il pieno potere di autodeterminazione dei reali protagonisti: creditori e debitori.

 

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